Sebastião Salgado, appunti per un “cammino”

“Quello che voglio è che il mondo ricordi i problemi e la gente che fotografo. Quello che voglio è creare un dibattito intorno a quello che accade nel mondo e provocare qualche discussione con queste immagini. Niente di più di questo. Io non voglio che la gente le osservi e apprezzi la luce e il gusto per le tonalità. Io voglio che loro guardino dentro e vedano ciò che l’immagine rappresenta, e il tipo di persone che fotografo”. Tutto l’operato di Sebastião Salgado si può sintetizzare nella sopracitata dichiarazione rilasciata a Ken Lassiter subito prima di iniziare a lavorare per le immagini di “in cammino”, lo seguiamo nelle sue dichiarazioni e nei toni sicuri delle sue foto sapendo che avvicinarsi all’opera di Salgado significa, per gli occidentali, ricordare un modo di esistere altro e lontano fisicamente e culturalmente. Di formazione economica e statistica si dedica alla fotografia di “Reportage” o “Documentarista” come in genere se ne parla, in realtà, un tipo di fotografia che evidenzia e solleva questioni e interrogativi sociali di forte impatto. Difficile farsi prendere dall’aspetto tecnico del procedimento di comunicazione, per capire l’esperienza che si vuole trasmettere basta sentire a mente libera, partecipare senza schemi al messaggio, il resto è solo sovrastruttura. Esperienze di forte trascinamento estetico, immagini in bianco e nero dunque, per “concentrare l’emozione” e permettere che l’immagine sia “interpretata per quello che è” non allontanandosi da un lavoro che dipenda dalle singole foto come tessitura per un discorso omogeneo, senza eccessi o momenti di messaggi urlati, tutto si svolge in un pacato e sommesso lavorìo sotterraneo volto a raccontare pazientemente la difficile storia dell’uomo.
Alla base della sua opera, vi è sempre il fermo desiderio di informare la cultura occidentale, descrivere e insieme denunciare all’opinione pubblica le condizioni sociali in cui vivono i soggetti stessi. Scuotere dal torpore del troppo benessere le nostre latitudini e costringere a pensare. Il carattere sociale a sostegno delle esperienze di Salgado nasce naturalmente anche in funzione del suo modello di lavoro, da come preferisca muoversi per conoscere e partecipare della realtà del luogo: “Mi piace lavorare su progetti a lungo termine, ho tempo da dedicare alla storia, tempo sia per il fotografo che per la gente davanti alla macchina fotografica, serve per capirsi l’un l’altro, capire cosa stia succedendo in quel posto” il resto è sensazione ed esperienza, lavorare da solo per entrare a contatto con la gente del posto e attenzione per le differenze. Proprio in queste differenze di colore, di lingua, di cultura e di opportunità, messe accuratamente in evidenza, risiede la ricchezza del genere umano, sentito come uno e partecipe delle stesse reazioni e sensazioni. (Foto in alto: Dopo mesi di occupazione da parte delle famiglie senza terra delle piantagioni di Cuiabá, i coloni festeggiano l’espropriazione ufficiale. Stato di Sergipe, Brasile – 1996 – foto in basso: Donne rifugiate si preparano per incontrare i membri della famiglia da cui sono state a lungo separate. Mbamba Bay, Tanzania – 1994).